In Libano...
Un viaggio in Libano
Premetto che il mio non è stato un viaggio di piacere ma ho avuto la fortuna di essere invitato da una ONG italiana, GVC, come consulente UISP, per formare insegnanti, genitori e social worker sull'importanza del gioco per l'inclusione.
Questo è una sorta di diario di bordo.
Arrivato a Beirut domenica 16 Febbraio, di pomeriggio, 2 check point attraversati lungo la strada verso Tripoli (Ce n'è una anche in Libano). Al check devi toglierti gli occhiali, abbassare il finestrino, accendere le luci interne, abbassare la musica, salutare gentilmente, grati all'esercito che mantiene la pace... dopo 3 ore siamo arrivati a Kobayat, distretto di Akkar, in montagna... un freddune immenso. Lunedì giro delle scuole a Bebnine e Tall Bire vicino al confine siriano (10 km) e quasi sul mare. Scuole molto povere, così come le case, quasi tutte grezze. Ho potuto vedere dalla macchina qualche campo profughi informale siriano. 6 milioni di persone: 4 milioni di libanesi, 1,5 milioni di profughi siriani, 0,5 milioni di profughi palestinesi. Crisi economica, politica e sociale in corso. Oggi ho iniziato la formazione con insegnanti, social worker e genitori dei villaggi di Tall Bire e Bebnine nella sala della municipalità. Un'esperienza fantastica, con persone genuine, curiose di avere strumenti di inclusione e di gioco per i loro bimbi. Sono caciarosi, hanno molto da chiedere, riescono ad ascoltarsi poco... ma con qualche regola e molti giochi siamo riusciti a contenerli. Anzi, a contenerle. Su circa 50 partecipanti solo 5-6 uomini. Qui si parla arabo, inglese, francese, italiano. Ci sono i mussulmani, sciiti, sunniti, cristiani maroniti, ortodossi. Un bel melting pot povero all'orlo della crisi, e se non si gestisce per bene la crisi siriana e i fondi di solidarietà e sviluppo, a pochi passi dalla guerra civile. Accoglienza vera e grata di un popolo abituato ormai da troppo tempo ad essere stretto nella morsa di Siria, Iran, Israele e le superpotenze occidentali. Ogni tanto va via la luce... come adesso... chissà se tornerà presto, come è successo in questi giorni... per il resto tutto bene. Carico per questa nuova esperienza.
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Oggi giornata grigia a livello meteo ma entusiasmante dal punto di vista formativo.
Il gruppo dei genitori dell'area di Akkar si sono aperti. Hanno tirato fuori i loro problemi educativi, le loro numerose gravidanze (una mamma ne ha avute 18, di cui 8 aborti), hanno iniziato a proporre giochi inclusivi, hanno sonorizzato il respiro e ci hanno invitato a pranzo. Le maestre hanno proposto i nostri giochi all'aperto, nel cortile della scuola di Bebnine, da soli, entusiasmandosi per la riuscita dei giochi. Abbiamo toccato delle corde emotive importanti facendo in modo che queste persone, di religioni differenti, che vivono in questo paese difficile avessero dei momenti di gioia, di riflessione e di connessione con sé stessi e con l'altro. Il gioco e la musica sono facilitatori del processo. Sono piccoli semini lanciati al vento freddo delle montagne libanesi, che potrebbero finire in mare a largo di Bebnine o nella terra ricca ma piena di plastica di Tell Bire. Ma sono semi ed un giorno germoglieranno e saranno piante forti, con tronchi possenti e fronde ricche ed ombreggianti. Saranno i cedri del Libano, che eaploderanno verso il cielo plumbeo di Beirut e faranno largo al sole di un nuovo Libano, libero e pensante.
Il gruppo dei genitori dell'area di Akkar si sono aperti. Hanno tirato fuori i loro problemi educativi, le loro numerose gravidanze (una mamma ne ha avute 18, di cui 8 aborti), hanno iniziato a proporre giochi inclusivi, hanno sonorizzato il respiro e ci hanno invitato a pranzo. Le maestre hanno proposto i nostri giochi all'aperto, nel cortile della scuola di Bebnine, da soli, entusiasmandosi per la riuscita dei giochi. Abbiamo toccato delle corde emotive importanti facendo in modo che queste persone, di religioni differenti, che vivono in questo paese difficile avessero dei momenti di gioia, di riflessione e di connessione con sé stessi e con l'altro. Il gioco e la musica sono facilitatori del processo. Sono piccoli semini lanciati al vento freddo delle montagne libanesi, che potrebbero finire in mare a largo di Bebnine o nella terra ricca ma piena di plastica di Tell Bire. Ma sono semi ed un giorno germoglieranno e saranno piante forti, con tronchi possenti e fronde ricche ed ombreggianti. Saranno i cedri del Libano, che eaploderanno verso il cielo plumbeo di Beirut e faranno largo al sole di un nuovo Libano, libero e pensante.
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La giornata parte con il sole! È un buon segno. Si parte da Kobayat con i social worker libanesi Taha e Kaleda, che subito ci donano un esperienza unica: il Tannur appena fatto, lungo la strada per Tell Bire. È specie di piadina, cotta in una fornace, arrotolata e condita con olio, timo e sesamo, qualche altra spezia molto gustosa. Una colazione rinforzata. Arrivati a Tell Bire il clima dello staff è disteso... iniziano ad arrivare le mamme... sono entusiaste... e sono più del giorno prima. Il passaparola, strategia di marketing più antica del mondo, funziona. Ci ritroviamo con tante donne in più, con 4 bimbi più piccoli. Da Bebnine arriva il pulmino ed un'altra sorpresa ci travolge. Una mamma ha portato la sua figlioletta disabile, affetta da nanismo. Una forza della natura. Il corso va alla grande. Giochiamo e poi i genitori preparano i giochi per la giornata di domani, dove faranno giocare i bimbi della scuola. Poi arrivano le insegnanti. Anche loro sono di più. Siamo soddisfatti. Vuol dire che quello che facciamo piace ed interessa. Un'insegnante di Bebnine ci mostra un video: per la prima volta è uscita fuori, nel cortile della scuola e ha giocato con 60 bimbi. Dice che si sono comportati bene perché erano interessati ai giochi proposti. Aveva gli occhi lucidi. Anche noi. Un'altra insegnante mi ha chiesto di portarsi a casa una barra sonora per usarla con suo figlio... me la riporta soddisfatta. Anche gli insegnanti e i social worker del pomeriggio giocano e organizzano i giochi... siamo felici, sono felici. Ridiamo e loro vorrebbero che non partissimo... vogliono imparare i metodi, le strategie, i processi per cambiare questo bellissimo paese e per rendere questi bimbi cittadini pensanti.
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Una splendida giornata di sole, funestata da un fulmine a ciel sereno. Sotto la nostra guest house di Kobayat, mentre lavo i piatti della serata trascorsa serenamente tra i cooperanti italiani, tutti giovanissimi, tutti super efficienti, tutti con sulle spalle responsabilità importanti, le mitiche Grete, una vicentina e l'altra mantovana, motori dei progetti Gvc, Claudio, ingegnere sardo, Loredana, la mia collega di viaggio formatrice sassarese, ed io, a mangiar spaghetti al sugo e pollo libanese, una visione verde plumbeo. Un mezzo militare con 2 carri blindati, spaventano la mia serenità mattutina. Chiedo alla mia compagna esperta e mi dice che qui è normale, si spostano i contingenti lungo il confine siriano, si danno i cambi... mi tranquillizza sorseggiando un bel tazzone di caffè. Oggi è per noi la giornata dei bambini, e il solo pensiero mi fa dimenticare tutto. Infatti partiamo alla volta di Tell Bire dove ci saranno una 30 di bimbi, e 20 mamme che dopo il corso, organizzeranno giochi che hanno appreso attraverso la nostra formazione. Arriviamo e veniamo inondati da una fiumana di bimbi, che già ci aspettano. Sono più di 50. I giochi vanno bene, un po' di confusione, qualche criticità organizzativa, ma nel complesso un ottimo lavoro dei social worker e delle mamme. Si ritorna solo dopo aver consegnato gli attestati e dopo avergli dato appuntamento alla prossima missione. Mangiamo di corsa in ufficio un buonissimo panino piadina con verdura, lo shawarma, a base di carne e poi a studiare, a casa, per preparare l'incontro di venerdì prossimo, che avremo a Beirut, con l'ufficio affari sociali del ministero libanese per organizzare un percorso formativo per insegnanti sull'inclusione sociale con Uisp. Mi ritrovo quindi ad essere cooperante espatriato formatore diplomatico esperto internazionale in ludopedagogia. Che culo. Senza saperlo, poi.... ma ogni esperienza va vissuta fino in fondo, anche solo perché di mezzo ci sono i bambini. E per crescere un bimbo ci vuole un villaggio! Cit. Loredana proverbio africano. Alle 20 ci vengono a prendere i fratellini cooperanti per una cena in un ristorante sulle montagne vicino casa: Alma del Bosque. Un posticino immerso nel verde bosco sotto una pioggia intensa. Mangiamo le mezze: antipasti di hummus, una crema di melanzane, funghi e formaggio grigliato e 2 buoni bicchieri di vino. Ci offrono 2 liquori fatti in casa e dei biscotti con gelatina all'interno. Si mangia bene in Libano. A domani.
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Giornata fantastica. Pioggia. Ma l'evento a Bebnine è pronto e va bene. Una scuola tutta femminile, bimbe velate, solo alcune, fortunatamente. Musulmane. Nella loro tradizione essere velate vuol dire avere avuto il menarca (primo ciclo mestruale). In realtà può essere anche una usanza delle famiglie anche per segnalare la promessa di matrimonio. Ma non penso che sia questo il caso...
Le bimbe, le insegnanti e le mamme, arrivano puntuali in una palestra affittata per l'occasione. Uno spazio con 2 colonne al centro. Un po' angusto ma adattabile. Una palestra per soli uomini che accoglie un evento di una scuola femminile. Che paradosso. Tra sacchi, punchball, su un tatami azzurro le bimbe e tutti noi ci divertiamo con i giochi. Buona l'organizzazione dei corsisti, sereno il clima. Poi una breve "intervista" alla dirigente della scuola. Le chiediamo se esistono le insegnanti di sostegno, se le scuole accolgono disabili, come funziona la formazione sul sostegno. Risposte precise ma che ci fanno capire che qui siamo ai primi vagiti dell'inclusione. Insegnanti che si formano in università private (quindi solo per ricchi), 20.000 $ di tasse universitarie, poi le chiamate nelle scuole pubbliche a vuoto ed impiego, più conveniente nelle scuole elitarie private. Solo 15 scuole pubbliche inclusive in tutto il Libano. In ogni distretto la "Casa dell'insegnante", possibile luogo di formazione. Insomma, tanto lavoro da fare. Dopo la consegna degli attestati di formazione si va mangiare con lo staff GVC. In una specie di ristorante, hamburgherie. Assaggio steak meat mashroom, carne con funghi e riso. Saporito e sostanzioso. Di fronte al ristorante un campo profughi informale. Il paradosso del Libano. Provo due boccate di narghilè e poi sotto una pioggia battente si torna a casa. Bebnine è una città vivace, caotica e povera. Estremamente decadente. Ma con uno strano fascino che si affaccia al mare. Vive di pesca e commercio. Ma la povertà si tocca e si vede ad ogni angolo. Ci accoglie per l'ultima notte Kobayat. Con le stelle e gli ululati dei lupi. Salutiamo lo staff con caldi abbracci e strette di mano e dopo una bella chiacchierata sul Baskin e sulle possibilità di promuoverlo attraverso la cooperazione e un bel minestrone fatto da Lori, ci prepariamo per il viaggio di domani verso la Bekka. Destinazione Zahle. Sarà un tragitto impegnativo. Se il passo delle montagne non è bloccato dalla neve e dal gelo in un paio d'ore, altrimenti bisogna tornare a Beirut e poi prendere lo scorrimento veloce verso Zahle. Tempo di percorrenza 4 ore e mezza. Da buon biofilo preferirei la montagna. Ma domani è un altro giorno.
Le bimbe, le insegnanti e le mamme, arrivano puntuali in una palestra affittata per l'occasione. Uno spazio con 2 colonne al centro. Un po' angusto ma adattabile. Una palestra per soli uomini che accoglie un evento di una scuola femminile. Che paradosso. Tra sacchi, punchball, su un tatami azzurro le bimbe e tutti noi ci divertiamo con i giochi. Buona l'organizzazione dei corsisti, sereno il clima. Poi una breve "intervista" alla dirigente della scuola. Le chiediamo se esistono le insegnanti di sostegno, se le scuole accolgono disabili, come funziona la formazione sul sostegno. Risposte precise ma che ci fanno capire che qui siamo ai primi vagiti dell'inclusione. Insegnanti che si formano in università private (quindi solo per ricchi), 20.000 $ di tasse universitarie, poi le chiamate nelle scuole pubbliche a vuoto ed impiego, più conveniente nelle scuole elitarie private. Solo 15 scuole pubbliche inclusive in tutto il Libano. In ogni distretto la "Casa dell'insegnante", possibile luogo di formazione. Insomma, tanto lavoro da fare. Dopo la consegna degli attestati di formazione si va mangiare con lo staff GVC. In una specie di ristorante, hamburgherie. Assaggio steak meat mashroom, carne con funghi e riso. Saporito e sostanzioso. Di fronte al ristorante un campo profughi informale. Il paradosso del Libano. Provo due boccate di narghilè e poi sotto una pioggia battente si torna a casa. Bebnine è una città vivace, caotica e povera. Estremamente decadente. Ma con uno strano fascino che si affaccia al mare. Vive di pesca e commercio. Ma la povertà si tocca e si vede ad ogni angolo. Ci accoglie per l'ultima notte Kobayat. Con le stelle e gli ululati dei lupi. Salutiamo lo staff con caldi abbracci e strette di mano e dopo una bella chiacchierata sul Baskin e sulle possibilità di promuoverlo attraverso la cooperazione e un bel minestrone fatto da Lori, ci prepariamo per il viaggio di domani verso la Bekka. Destinazione Zahle. Sarà un tragitto impegnativo. Se il passo delle montagne non è bloccato dalla neve e dal gelo in un paio d'ore, altrimenti bisogna tornare a Beirut e poi prendere lo scorrimento veloce verso Zahle. Tempo di percorrenza 4 ore e mezza. Da buon biofilo preferirei la montagna. Ma domani è un altro giorno.
On the road to Lebanon! Oggi è un viaggio di trasferimento. Da Kobayat in Nord Akkar a Zahle in Beqqa. Le montagne ci appaiono bianche dal balcone della guest house Gvc della cittadina di Kobayat. Loredana ed io siamo pronti per le 10. Riceviamo l'ok dal security focal point Gvc a transitare per le strade di montagna valicando i Monti Libano e scendendo per la Valle del Beqqa. 9 check point da superare. La nostra guida sarà Greta, capo progetto della Ong che ci ha chiamato qui per la formazione attraverso Uisp. Vicentina, occhi verdi che mettono serenità, una buona esperienza in Libano, appassionata guidatrice e cooperante. La strada di montagna è più breve ma un po' più impegnativa. Passiamo in un attimo tra i boschi di pini, ai monti brulli, arsi dal vento e dalla neve, da cave illegali a villaggi di 4 case poveri, in cima una moschea e di fronte un santuario cristiano. Dopo il passo iniziamo a scendere con i tornanti verso Hermel. Ci infiliamo tra vicoli stretti. È una città quasi di confine, dove la presenza di Hazbollah è importante. Una fazione mussulmana filo-iraniana, lo osserviamo dalle tante facce appese ai muri, i "Martiri di Dio", vittime delle tante guerre combattute in queste aree. Oltre le montagne ad Est, la Siria. Ai nostri piedi uno dei campi rifugiati siriani più importanti e popolati Mashari Al Qaa. Qui il vento, il sole, le guerre hanno cancellato tutto. Una distesa di sassi, case non finite, sparse, e tende dei rifugiati siriani. Sacchetti di plastica che svolazzano agganciati ai pochi cespugli spinosi... il Medio Oriente come lo immaginavo prima di partire... la discesa verso Baalbek diventa più rapida... stiamo andando verso sud e la strada diventa più larga e scorrevole, tratteggiata da file di lampioni ad energia solare, non funzionanti, perché privati delle batterie, a causa della fame di qualche povero cristo. I check point sono più frequenti. Questa è l'ultima zona lasciata dall'ISS e ri-occupate dall'esercito libanese nel 2015, grazie proprio all'esercito paramilitare di Hazbollah. Bandiere gialle, bandiere nere e arancioni, bandiere verdi... sono i vessilli delle fazioni dei "liberatori" dallo Stato Islamico. Sullo scorrimento veloce capeggia invece il cedro su fondo bianco rosso, emblema della Repubblica del Libano. Pausa Ad un chioschetto per un caffè italiano "King Express". Ad un check ci chiedono di accostare a destra. È la prima volta. Documenti. Greta mostra il suo pass da cooperante. Poi dice Italiani. Conosce giusto poche parole arabe. Quelle che potrebbero rasserenare i militari. Noi prepariamo i nostri passaporti. Guarda dentro la macchina. Mi guarda con aria circospetta, ma vede il documento marchiato UE. Fa cenno di proseguire. Penso mi avesse scambiato per arabo siriano palestinese rifugiato clandestino. Non è la prima volta. Mi successe in Marocco 20 anni fa. Anche in Italia. W la UE! 😅 Arriviamo a Baalbek. È il tripudio delle rovine del tempio di Giove. Patrimonio dell'umanità Unesco. È un sito veramente sorprendente. Vale la pena visitarlo. Poi un bel pranzetto in un ristorante macelleria. Costolette d'agnello. E bevo uno yogurt salato. Mai l'avessi fatto. Movimenti di pancia per tutto il giorno. La carne ottima. Da Baalbek a Zahle è tutto un susseguirsi di campi profughi, martiri e "narco-habibi-house", villoni recintati e super pacchiani, dei ricchi dell'area, trafficanti di marijuana. Continuano i paradossi libanesi. E si esaltano in Zahle. Città cristiana super occidentale dai palazzi alti luccicanti, griffati, e boulevard stile Champs Elysess. Incontriamo Luca in una buona caffetteria, ci accoglie e ci guiderà per i prossimi giorni. Cena con le mezze a base di Fatoush, Falafel, Hummus, Patate speziate ed involtini di cui non ricordo il nome. Ed ora dalla stanza dell'hotel Sant Jean vi saluto al suono di un caciaroso karaoke neomelodico arabo. Notte. A domani.
Nabi Osman è un villaggio in Nord Beqqa, una vallata tra i Monti Libano e le montagne siriane. Una lunga strada attraversa la regione e tutto il Libano da Nord a Sud. Lungo questa strada numerosi villaggi Hazbollah. E soprattutto ogni centinaio di metri vecchie case, "narco habibi House" e campi profughi. Tende con il marchio Unchr o Unicef, bianche, oppure con i teloni dei camion o ancora con i teloni pubblicitari. Sono quasi tutti campi informali. Lungo la strada, come la Route 66, 11 check point dell'esercito libanese. Ci fermiamo spesso ad un chioschetto, il.king espress, per l'unico caffè espresso italiano di questa strada. Spesso popolato dai militari. Nei campi i rifugiati siriani. La scuola di Nabi Osman è una buona struttura. Giallo ocra, dal suo cortile svetta il minareto della moschea. Alle 12 in punto, parte il muezzin che canta i versi del Corano. A Nabi Osman ci sono i bimbi libanesi fino alle 13. Poi arrivano i bimbi siriani. Non possono andare tutti insieme a scuola. Così in tutte le scuole del Libano. Le classi sono abbastanza spaziose. Luminose. Ma dalle finestre si vede spazzatura e campi rifugiati. Sulla moschea e lungo le strade i visi dei martiri hazbollah caduti in guerra. Gvc ha ristrutturato l'edificio, abbattuto le barriere architettoniche, ristrutturato i bagni, creato un comitato genitori, sta sensibilizzando attraverso il nostro corso insegnanti, genitori e social worker. Ahamed e Layla sono sempre in contatto, pronti ad accogliere i genitori. 37 persone ci aspettano. Il nostro interprete Mohamed si fa in 4 per tradurre tutto. Sia i nostri giochi sia le numerose domande dei partecipanti. Se non ci fosse lui non avremmo potuto trasmettere i concetti di ascolto, accoglienza, gioco, inclusione sociale, comunità educante, sport per tutti. Donne con il velo, donne senza, donne procaci, donne timide. Uomini pochi. Troppo pochi. Nelle scuole libanesi non ci sono disabili. Vanno nelle scuole private, se se lo possono permettere, oppure nelle scuole speciali, che cmq costano. Esistono solo 3 scuole inclusive in Libano. È ancora una volta una situazione paradossale. Penso che il lavoro delle ong e anche quello che facciamo Loredana ed io sia importante. Una goccia nel mare. Un seme in una terra arsa dal sole, dal vento, dalla neve. Un fievole raggio di speranza in un futuro che sembra senza futuro. Ma ci siamo. Ci nutriamo degli sguardi, dei sorrisi, della gioia del gioco. E nutriamo di possibilità, di opportunità, di divergenza culturale. Forse la rivoluzione potrebbe cambiare. Uno stato che scrive di inclusione e poi separa. Uno stato che paga ad ore le insegnanti. Uno stato che lascia per 60 anni i profughi nelle rende. Uno stato che non permette di scegliere i propri rappresentanti pur definendosi Repubblica. Troppe tigri intorno al Libano. Troppi squali. Ma il seme è sparso, germoglierà sulle montagne, accanto agli ultimi cedri del Libano, protetti nelle riserve.
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La strada che percorre la Beqqa arriva a Zahle. Una ridente città cristiana incastonata tra i Monti e la vallata. Una città simile a conformazione alla nostra Ragusa, con vicoli, salite, scale e tante chiese e moschee. Di tradizione cristiana è comunque multi-confessionale come tutte le città libanesi di una certa grandezza. I villaggi mono-religiosi, politicizzati, le città in fermento ma con grandi contraddizioni. Zahle è proprio gradevole da vivere, tra ristoranti libanesi, bistrot, paninari shawarma e soprattutto caffetterie, rigorosamente di caffè turco. Ma noi abbiamo cercato un pizzico di Italia. Il Brut è un pub. Un luogo di incontro, gestito da una coppia italoparlante. Caffè italiano fatto con la moka. Birre di tutto il mondo, liquori vari. Da non perdere.
Lasciamo il popolo della Beqqa a malincuore, riservandoci di rivederci alla prossima missione. Lascio Mohamed il compagno comunista, la maestra specializzata in disturbi dell'apprendimento, la maestra dagli occhi che ridono, la mamma dell'amico di Mohamed l'interprete, gli occhi tristi delle mamme siriane, una donna nana con un'energia pazzesca, gli occhi e i modi gentili dei padri che hanno partecipato alla formazione, una mamma bianca come il latte con una bimba dai tratti arabi ma dolci. Lascio Luca, genovese di Gvc, Ahamad e Layla, social worker Gvc sensibili ed infaticabili, che hanno intessuto legami e connessioni tra la comunità e la scuola. Ma lasciamo soprattutto gli occhi felici e sorridenti dei bimbi libanesi che giocano, che scherzano e che a loro modo mi deridono, perché non capisco l'arabo. E con tristezza lascio il senso di colpa per non aver avuto occasione di giocare con loro ma ancor di più con i bimbi siriani, incrociati troppo brevemente nel pomeriggio nel cambio dell'ora. Poi lascio la guida sportiva e a volte incazzata di Nour, ingegnere Druso di Gvc, driver lungo la Beqqa. Da Zahle scendiamo a Beirut, su una strada scorrevole, che prima sale e poi scende e si affaccia sul Mediterraneo e sulla grande metropoli. Sembra di essere a Milano. Grandi palazzi, grattacieli, lunghi viali e tangenziali, ma anche povertà. Domani la scoprirò meglio Beirut. Entrerò nelle stanze del potere per una riunione con i membri del Crdp, cuore esecutivo del ministero dell'educazione. Hanno chiesto un incontro per confrontarci sul tema dell'inclusione sociale. Mi tocca pure la diplomazia, in chiusura di missione. Carico delle energie incontrate a Tell Bire, Bebnine, Kobayat, Zahle, Nabi Osman, Ain cercherò di comprendere e di ascoltare i bisogni delle persone che incontro. E cercherò di portarmi a casa questo carico di esperienza. In fondo... c'è sempre da imparare.
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Stamattina la sveglia non è suonata. Il rumore del traffico della metropoli libanese ci sveglia come il sole del mattino. Loredana dice che il Libano è più vicino al sole. Forse è vero. Perché scalda di più e sorge prima. Siamo più ad Est. E tramonta anche prima. Scendiamo accolti dalla Greta del Gvc, pronti per l'incontro diplomatico con il Centro di ricerca e sviluppo pedagogico del ministero libanese. Un incontro informale ma che chiaramente ci prospetta la situazione contraddittoria: vorrebbero parlare di inclusione della disabilità fisica nella scuola pubblica ma non sanno e non conoscono cosa significhi inclusione sociale ad un livello sistemico. È un governo che dovrebbe promuovere a più livelli (sociale, educativo, pedagogico, scolastico, lavorativo, sanitario, architettonico) l'inclusione dei poveri, dei siriani, dei palestinesi, dei disabili psichici e fisici, dei bambini, degli anziani. È una situazione paradossale e di scarsa sensibilità. Ma glissiamo. Ascoltiamo. Percepiamo un bisogno ma anche un'insofferenza... ci diamo appuntamento via mail. Il Gvc si farà promotore di nuovi progetti di cooperazione internazionale su inclusione sociale e UISP fornirà la sua consulenza... si spera. Briefing in ufficio con le Grete e con Camille, capo area. Ipotesi sulle prossime missioni con le difficoltà del Corona Virus, pasque mussulmana e cristiana, Ramadan. Poi un saluto a tutti e liberi con Mohamed. Andiamo a pranzo. Rigorosamente libanese. Entriamo in un grande centro commerciale. Sembra di essere a Milano o a Parigi. In Occidente... poi salutiamo il nostro angelo custode e ci avviciniamo a piedi alla piazza della moschea blu. La contraddizione si fa reale. Grattacieli, palazzi bombardati, la grande moschea, un cinema sventrato, le tende della rivoluzione, vetrine sfondate, soldati, carri armati, muri intorno ai palazzi del potere. Ci incamminiamo verso Damascus Road. Chiediamo ad un tassista di riportarci a casa. Lui ci chiede di mostrare la posizione. Dopo varie peripezie riesce a trovare la posizione. Intanto si gira una canna. Saliamo. Sembra una brava persona. Contrattiamo per 15.000 lire. Stiamo in macchina 10 minuti nel traffico. Inebriati dal profumo dell'erba libanese. Si ferma e ci dice che il nostro indirizzo si trova oltre l'incrocio. Attraversiamo. Non siamo dove ci aspettavamo. Purtroppo il fratello frikkettone ci ha fregati. Sono un po' deluso. Ci incamminiamo. Chiediamo un hot spot in una specie di co-working popolato da ragazzi. Ci aiutano. 20 minuti a piedi, passando da un quartiere hazbollah. Beirut è una città che ti inghiotte, i colori del tramonto scompaiono in un attimo lasciando il posto alla notte che mette in risalto il paradosso del capitalismo globalizzato contro la povertà più estrema. Ti vomita addosso scene di rara umanità come una donna anziana che dorme in piedi, appoggiata al pilone di un'enorme cavalcavia della tangenziale o una donna siriana con un piccolo fagotto in braccio, che chiede l'elemosina, con il neonato in braccio. I soldati gentili e i molti visi di diversi colori che popolano la capitale. Un mondo che sarebbe possibile se non fosse per l'iniquità del suo sistema, per la corruzione, la mafia, le numerose macchinone Porche, Lamborghini, Bmw, Volvo, Mercedes. Un mondo possibile degli uomini, che la politica, la religione e i partiti ricattano perché senza alcun diritto. Mi auguro che il Libano si liberi da questo giogo. Che la rivoluzione continui e sovverta il sistema. Che il popolo libanese colga questa occasione per creare più diritti, più giustizia sociale, più libertà. Spero di tornare presto. In un Libano più giusto. Hasta Siempre.
Oggi giornata di shopping per la famiglia, passeggiata in Damascus street, tahook di pollo, taxi per l'aeroporto. Arrivati nella zona check-in tante persone con mascherina. Personale aeroportuale, hostess, passeggeri. È incredibile come la paura ci renda tutti uguali. Musulmani, sunniti, alayuiti, sciti, libanesi, palestinesi, siriani, arabi, cristiani, ortodossi, drusi, donne e uomini, ricchi e poveri, bianchi e neri, gialli e pallidi. Nelle emozioni primarie l'uomo è uguale e simile a sé stesso. La tragedia unisce, la paura anche, la ricchezza divide... in questo strano vecchio mondo, dove c'è ricchezza c'è più povertà. La disuguaglianza impera. E Beirut, come tante altre metropoli ne è la dimostrazione. Riflettendo con il nostro angelo custode Mohamed, abbiamo delineato il nostro modello di mondo. Un sistema basato su diritti inalienabili, sanciti dalla Dichiarazione Universale, un sistema basato su criteri di uguaglianza davanti alla legge, di equità sociale, senza armi, con un rispetto sacro per l'ambiente. Un mondo dove chi sbaglia paga, ma dove chi muore di fame o non ha un lavoro è sostenuto da tutti. Un mondo senza partiti, senza corruzione, senza mafia, dove le persone decidono personalmente delle leggi... dove le leggi giuste non si cambiano. Un mondo con l'uomo al centro, senza poteri forti, solidale e multiculturale. Con criteri di democrazia diretta. Siamo gli animali che si uccidono. Un mondo di pace. Grazie Libano, per avermi confermato che possiamo sognare un mondo diverso. Ma dobbiamo sbrigarci. Prima che giungiamo ad un punto di non ritorno. Grazie Loredana per avermi guidato in questo viaggio. E grazie alla mia famiglia che mi ha sostenuto. Sto tornando.
Il ritorno è spaesamento. Il ritorno è un jet lag emotivo. Niente di fisiologico, ma una sorta di depressione da benessere. Mi ci vorrà qualche giorno e un'altra buona dormita per riprendermi, spero. Ma l'animo è carico di tristezza. Penso a tutti i campi, a tutte le persone, alle condizioni (e il Libano non è il Ruanda....). Mi manca il canto delle moschee di mezzogiorno, l'odore forte di discarica (che ho sentito all'arrivo a Catania😅). Mi manca quell'accoglienza genuina e quegli occhi bassi delle donne velate del corso, sento ancora il profumo dei pani cotti nei forni, per strada. Gli occhi penetranti dei bambini e il vociare continuo in lingua araba. Nonostante l'accoglienza della mia famiglia sia stata gentile e discreta, fantastica e entusiasta, curiosa e solidale, mi mancano suoni ed odori. Sentirsi in un mondo alla rovescia è ciò che mi fa stare male. Credere nel cambiamento ma vedere che ogni notizia porta all'allontanamento dell'armonia. Notizie di guerra in Siria, aggressioni genocide turche nei confronti dei curdi, manifestazioni in Israele e in Cile, la crisi venezuelana... e tanti altri paesi che insorgono contro i vecchi poteri e i vecchi poteri secolari che usano le armi per sedare, per conquistare, per distruggere. Voglio ancora credere in quella rivoluzione, l'unica in cui credo veramente: autodeterminazione e pace. Unendo le forze del mondo e non dividendo. Ma il pensiero va alla mancanza di acqua potabile, ai diritti dei bambini negati, alla negazione dei diritti alla salute, alla mancanza di inclusione sociale a tutti i livelli. Tornare in Italia è stato un viaggio nel tempo: mi fa rendere conto di quanto siamo assolutamente fortunati... A parte che dopo tutto sto spauracchio del Corona Virus, ho visto che negli aeroporti, oltre le tante mascherine, solo a Catania mi hanno misurato la temperatura... Ma nel frattempo 14 paesi hanno chiuso all'Italia, tra questi anche il Libano. Vuol dire che la mia prossima missione prevista per il 15 Marzo è a rischio, come è a rischio l'intero percorso di formazione per insegnanti e genitori. Questo forse è ciò che mi fa più male. La possibilità di aver seminato, ma di non poter innaffiare il semenzaio... Inshallah, come dicono gli arabi.
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